
E' sufficiente inanellare una sequenza di gesti semplici e ripetitivi.
Gesti quotidiani, magari caricati di un nuovo significato.
Ed è facile sedere lì, quando l'imbarazzo si trasforma in calore.
Si prosegue senza difficoltà come una biglia posta su di un piano inclinato.
Ma com'è difficile mettersi a nudo.
Non ci sono circuiti motori che possano innescarsi in modo automatico e reiterato.
Si palpa la densità di una riluttante incertezza e l'attrito che pensieri prima e parole poi oppongono nel flusso che si vorrebbe avviare. E si sa che l'attrito genera calore.
Quando il ronzio di ingranaggi poco oliati va a confondersi col frenetico pulsare del muscolo cardiaco è difficile mantenere la lucidità che la situazione richiederebbe.
Sì, no, forse sì, anzi no, ma certo, no davvero, non si può. Devo.
E mentre i polpastrelli scivolano su di una superficie sublime e inattesa, nuova linfa sembra spandersi tra i denti delle ruote che prima stentavano a ingranarsi.
Il ronzio va scemando, l'attrito si riduce, ma non il calore che cresce incontrollato fino a trovare sfogo in uno sfiatare lessicale che difficilmente possiamo modulare. Tanto maggiore la pressione a monte, tanto più intenso il fischio che ne deriva riecheggiando tra le pareti della calotta cranica.
Ed il cuore prosegue a dimenarsi, vincolato com'è alla parete toracica.
Lo sbuffo solleva anche l'ultimo tulle che con pudore avevamo tenuto indosso, e mentre questo svolazza dolcemente, andando mollemente a riguadagnare il proprio posto, ascoltiamo cosa sta per succedere fuori da noi.
E la linfa comincia ad essere esausta, cedendo al cigolio rugginoso degli ingranaggi che perdono velocità.
Sì, no, forse sì, anzi no, ma certo, no davvero, non si può.
Si vedrà.
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