
Ieri (domenica 10) ho fatto l’ultima lezione del mio secondo anno di improvvisazione di lunga durata, Long Form appunto. Quest’avventura è cominciata dopo aver preso contatto col Match d’Improvvisazione Teatrale, per la voglia di sperimentare qualcosa di nuovo e più sfaccettato. Il corso a cui sono alla fine approdato è un concentrato di informazioni, una miniera di risorse che spingono a riscoprire lati sopiti del proprio io e del proprio corpo, in un invito a sentire e sentirsi, ascoltare e comunicare.
L’obiettivo è portare in scena il Jam Theatre, un format di origine fiorentina, che partendo da una parola suggerita dal pubblico vede nascere, intrecciarsi e dipanarsi diverse storie uniche ed irripetibili. Oscillando tra le risate e le lacrime (magari!) si ha tra le mani un contenitore dalle potenzialità infinite, che mette a dura prova l’attore. Sono infatti convinto che questo tipo di spettacolo richieda salde doti tecniche e profonde qualità attoriali e proprio per questo mi ci rapporto con un grande timore reverenziale.
Il fascino che un’impresa del genere può proiettare su chi ama il teatro è evidente, ma il risvolto della medaglia è lo scoglio di una resa scenica molto complessa, che mette in mano all’attore anche il ruolo di regista e sceneggiatore, col rischio di spegnere la fiamma dell’improvvisazione in qualcosa di artefatto, banale o costruito. La fatica di mantenersi nella Qualità è tanta, la meta è lontana, ma ciò la rende a maggior ragione affascinante.
Devo confessare che dopo il primo anno di corso ed un saggio che mi ricordava un Match dilatato nel tempo, senz’altro divertente per il pubblico ma con poca profondità, mi ero piuttosto scoraggiato. Le lezioni erano semplicemente meravigliose, ma anche molto faticose ed ansiogene, per un tipo cerebrale come me. Il week end mensile che mi lanciava in questo mondo era condito dall’ansia di capire, di fare giusto, di non sbagliare. Quando il cervello si mette a frullare vorticosamente però il fisico ne viene annullato e quindi lo sforzo si moltiplica. Ma l’ansia si scioglieva di fronte a risultati inaspettati, a sensazioni emerse senza essere cercate, ad incontri fortuiti ed intensi.
Questa è stata la mia motivazione. Continuare un percorso che mi riportava a me stesso, fornendomi strumenti da spendere sul palco e sulla strada di tutti i giorni.
Poi, piano piano, l’ansia ha cominciato a sfumare, a lasciare spazio al piacere di scoprire, alla convinzione che sbagliare è relativo ed è soltanto una declinazione del verbo imparare. Pur senza avere la fretta di salire sul palco ho avuto la possibilità di fare tre spettacoli. Quando ho scoperto che avrei partecipato al primo sono stato colto da un’enorme agitazione. Mi sentivo ancora inadeguato, non avevo per le mani la struttura dello spettacolo, ero inchiodato su me stesso. Però è passato. Ho fatto quel che mi sentivo, mi sono divertito e mi sono sbloccato. E’ rimasta la voglia di fare e la tranquillità di aspettare il momento giusto, cullato da lezioni sempre più avvolgenti .
Ora continuo a chinare il capo di fronte al Jam Theatre che vedo ancora su una vetta da scalare, soprattutto dopo aver visto chi lo sa fare davvero, ma la mia è una riverenza spavalda, non ossequiosa né rassegnata. Giorno dopo giorno sto affilando la piccozza, con tutte le intenzioni di conquistarla.
Di un anno mi rimangono tante sensazioni e tanti momenti, principalmente incontri, alcuni tesi altri fluidi, tutti travolgenti. Partire dal corpo per comunicare in maniera istintiva è qualcosa di meraviglioso, senza parola riusciamo ad essere molto più efficaci e diretti, dando voce alla nostre sensazioni. Ascoltare, sentire, rispondere. Cose talmente semplici da far tremare i polsi quando si manifestano. In questo ringrazio i miei compagni di percorso, con cui ho instaurato un contatto vero, trovandomi spesso a godere della loro presenza con un’intimità difficilmente replicabile. Tra le mura del Gramelot si diffonde un’energia che ha del mistico, cucendo con un filo di seta i pensieri e le intezioni di chi ospita.
Una parentesi merita il lavoro sul Neutro che abbiamo fatto grazie a Lea (davvero Grazie, Lea!). Partendo da una condizione di neutralità fisica ed emotiva, siamo entrati in contatto col nostro personaggio, vedendolo, ascoltando le sue risposte, vivendone le emozioni internamente pur dietro un maschera impassibile. Ho visto amici piangere per il dolore di un suicidio che è stato scritto e concertato più di mille anni fa, ho sentito assieme a loro il gelo ed il calore della vita, ho vissuto io stesso l’abbandono totale per la conquista dell’altro da sé.
Quando ho pensato di aver corso il rischio di non provare tutte queste cose, solo per la paura che una struttura mi poteva istillare ho riso di me stesso e mi sono compiaciuto di essere testardo ed aver perseverato.
Tra una settimana si farà il saggio di fine anno, chissà che ne salterà fuori, sarà comunque un bel saluto ad un lungo, intenso anno.
Evidentemente sono di una lentezza scandalosa nel pubblicare i post... ho fatto in tempo a fare il saggio, che è andato anche abbastanza bene, ci siamo divertiti. Vedo che progressivamente sto prendendo confidenza, per cui ormai non ho più scuse, bisogna davvero portare in scena belle cose!
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